Annalisa viene a trovarmi in studio ed esordisce con la frase: “Dottoressa non so come spiegarmi, ma credo di essere rotta.”
La guardo e la osservo, vedo un giovane donna, appena diventata mamma da 2 mesetti circa e le chiedo: “In che senso?”
A.: “Sa, quando è nato Guglielmo non ho provato gioia… Ne ho parlato con la mia amica Diletta, mamma di 2 bambini (laureata in Scienze del “ho la verità in tasca” con specialistica in “soprattutto so cosa è la perfezione umana”), che mi ha detto che appena sarebbe nato, sarei stata la donna e mamma più felice al mondo con tanto di lacrime di gioia, ma non è stato cosi… i primi giorni ho fatto fatica… mi faceva male il corpo, Guglielmo piangeva e non ne capivo il motivo e la cosa peggiore è che non volevo coccolarlo tutto il tempo, ma volevo dormire.”
Annalisa piange e mi confessa che si sente tremendamente in colpa per queste sue emozioni e per il fatto di non essere riuscita a sentirsi come le aveva detto la sua amica Diletta.
Racconti come quello di Annalisa sono più frequenti di quel che si pensa. Una ricerca americana ha mostrato che solo un 20% delle donne che hanno partorito da poco, percepiscono l’evento del parto come lo ha descritto Diletta, mentre il restante 80% può vivere un sentito meno piacevole.
Facciamo un passo alla volta utilizzando il caso di Annalisa. A. ha vissuto 41 settimane di gestazione in cui le aspettative sono cresciute e aumentate man mano che la gravidanza procedeva. Erano infiniti i racconti che sentiva e a livello organico e biologico il corpo di Annalisa è cambiato e si è adattato alla nuova richiesta; ovvero alla crescita di due unità microscopiche (ovulo e spermatozoo) che una volta fuse hanno richiesto un’immensa mole di ormoni di diverso tipo per arrivare alla 41esima settimana di gestazione e un bambino di 52 cm. Le paure erano tante, le aspettative erano tante, la gioia era tanta. Insomma, tutte le emozioni erano tante e probabilmente anche incontrollabili.
L’epigenetica, ovvero la branca della psicologia che studia gli aspetti psicologici nelle sue componenti cognitive, emotive e motivazionali che agiscono sull’espressione selettiva dell’informazione genetica, ci rivela che le emozioni provate in gravidanza rivestono una grande importanza sul feto e sul futuro bambino divenuto adulto. Quando ad Annalisa spiegai cosa mostrano scientificamente gli ultimi studi effettuati, mi guardò un po' preoccupata e mi chiese se ci fossero state emozioni giuste o sbagliate che avrebbe dovuto provare durante la gravidanza.
Se sapessi quali emozioni bisogna provare, probabilmente avrei già vinto un premio nobel, ma ahimè non è così.
Annalisa e io abbiamo solo potuto parlare a lungo delle sue emozioni e cercare di comprenderle da diversi punti di vista, che significato ha avuto quella specifica emozione in quel momento, del perché è arrivata a provare una determinata cosa piuttosto che un’altra e ci siamo confrontate a lungo sulle sue paure e sulle aspettative che si erano create durante la gravidanza. Arrivata al parto, si aspettava dunque che tutte le paure venissero cancellate e le aspettative venissero confermate per lasciare spazio a….?
Questi puntini li ho lascati completare a Annalisa: “mi aspettavo di amarlo, mi aspettavo qualche doloretto e mi avevano detto che non avrei dormito per un po'. Ma non credevo che mi sarei sentita cosi”
M.: “Purtroppo, cara Annalisa, nessuno ti può garantire come ci si sente. Nessuno ti può dare certezze e come mi disse una mia cara collega: “i bambini non vengono forniti con il libretto di istruzioni” ”.
I 40 giorni post parto vengono chiamati Puerperio. Si tratta di un momento delicato in cui la puerpera (la donna che ha appena avuto un bambino) affronta nuovamente una serie di cambiamenti fisici e psichici. Il corpo, a livello organico, in questi 40 giorni torna il più possibile nella condizione precedente al parto e gli ormoni sono nuovamente chiamati in causa per riadattarsi all’ennesima richiesta di cambiamento: l’allattamento. Che si decida di allattare o meno, il corpo affronta una risposta ormonale e questo richiede molta fatica emotiva. Di nuovo si sente la voce di Diletta che dice che bisogna allattare a tutti i costi e che bisogna essere felici e grati nonostante ci possano essere piccoli intoppi come ragadi e/o sudorazione notturna ed eventuali e varie. Annalisa ha fatto fatica, non le creava piacere attaccare il bambino al seno. Si sentiva nuovamente in colpa perché non ha potuto essere come si era aspettata di essere. Per lei sapere che una deflessione dell’umore e un baby blues siano caratteristiche comuni all’80% delle puerpere, le ha permesso di essere più serena. Non era stata informata su questo momento delicato di cambiamento, sulle emozioni e sulla relazione che ha iniziato a instaurarsi dal primo giorno di gestazione per poi cambiare tutti i giorni e costantemente.
Negli incontri successivi abbiamo affrontato il tema della relazione. Quanto fosse importante e al contempo difficile per Annalisa ascoltarsi. Come psicologa sistemico-dialogica ho l’idea che la relazione sia in costante cambiamento e avvicinare Annalisa all’idea che amare un bambino possa comportare l’insieme di tanti elementi tra cui l’ascolto e l’osservazione per la relazione e le diverse sfumature di emozioni che include il termine “amore” le è stato utile per distogliere lo sguardo dall’idea di mamma perfetta che Diletta le aveva “imposto”.
La relazione si crea e cambia con il tempo. Può forse non essere subito vista e colta perché quando nasce un bambino, la neomamma si trova in un vortice di fattori biologici-sociali-culturali-emotivi che distraggono momentaneamente e forse in maniera comprensibile dalla messa a fuoco delle proprie emozioni e della relazione con il neonato, ma se si vuole, si può lavorare su se stessi per comprendersi un po' di più con l’obiettivo in testa di raggiungere un certo livello di serenità.
Annalisa ha fatto un bellissimo lavoro su se stessa e oggi gode di “tantissimi momenti di gioia con Guglielmo”. Emozioni e relazioni sono diventate le due parole che più le piacciono e ripensa al parto e al percorso che ha fatto e che sta facendo ogni giorno, con piacere e entusiasmo.
È possibile ascoltare l’altro e crederci, ma forse non crederci troppo (come dicono i miei maestri di scuola di psicoterapia) potrebbe essere un modo per vivere la gravidanza, il puerperio e la relazione madre-bambino/a diversamente, senza la delusione di non aver raggiunto l’asticella tanto alta dell’aspettativa che una Diletta le aveva impiantato in testa.